Immaginate che nel bel mezzo di una trafficatissima strada romana, l’Appia Nuova, spunti dalla
sera alla mattina un casello e che per attraversarlo auto, camion, bus ma anche moto, bici, e
pedoni debbano pagare dazio. Qualcosa del genere accadde a Roma sette secoli fa quando, nel 1302, il
cardinale Francesco Caetani, sotto l’ala protettrice dello zio Benedetto meglio noto come papa Bonifacio
VIII, in soli quattro giorni acquistò le tenute di Capo di Bove e Capo di Vacca, in totale circa 600 ettari, per
costruirvi a tempo di record un castello proprio a cavallo dell’Appia antica. Li dove sorgeva il casale della
famiglia Gabelluti improvvisamente un tratto della strada fu sequestrato entro poderose mura, 240 metri in
lunghezza e un centinaio in larghezza, difese da 16 torri, la più imponente delle quali fu edificata
inglobando la tomba Cecilia Metella.

Mausoleo Cecilia Metella

L’operazione venne condotta secondo lo stile rampante della famiglia Caetani, che badava al sodo, usando
quando necessario corruzione, intimidazione e violenza. Non bisognava nemmeno preoccuparsi di norme e
leggi: Bonificio VIII era sul trono papale apposta per piegarle alle esigenze della casata. Come, ad esempio, aveva
fatto nel 1299, quando acquistando il mausoleo di Cecilia Metella e alcuni appezzamenti vicini ne approfittò
per abolire il decreto che impedire ai nobili di comperare terreni e tanto meno di erigere castelli in un raggio di dieci chilometri dalle mura cittadine. I Caetani andavano di fretta: sbucati sulla scena romana da Anagni una ventina di anni prima, puntavano a entrare nella ristrettissima élite dei baroni che spadroneggiavano nella regione, Urbe compresa.

L’obiettivo finale non era tanto il dominio di Roma quanto la creazione di un principato nel Lazio meridionale e questo
scatenò una vera e propria guerra con i Colonna, iniziata il 3 maggio 1297 quando una masnada guidata da
Stefano Colonna assaltò una carovana di decine di muli carichi di denaro e gioielli appartenenti a Bonifacio
VIII. II bottino valeva 200.000 fiorini (un castello di media importanza ne costava 30/40.000), frutto di anni
di ricche prebende legate al titolo cardinalizio. «Thesaurus quem acquisieramus tempori nostri
cardinalatus
» (“il tesoro messo insieme ai tempi del nostro cardinalato“); questo sarebbe stato secondo le
Gesta Treverorum il lamento disperato di Papa Caetani. Che però non si perse d’animo e continuò ad
accumulare ricchezze “con determinazione contadinesca e brutale” : nei 13 anni da cardinale, ricorda lo storico
Sandro Carocci, aveva acquistato nel Beneventano la cittadina di Calvi, il suo primo castello a Selvamolle
(odierna Selva dei Muli, frazione di Frosinone), poi quelli di Norma e Sismano (oggi frazione di Avigliano
Umbro), ottenendo anche le castellanie di Fumone, Castro e Vairano. Nei quasi 9 anni del suo pontificato la
famiglia mise le mani sulle contee di Caserta e Fondi e sui castelli di Astura, Bassiano, Carpineto, Carpino
Castro, Collemezzo, Falvaterra, Filettino, Gavignano, Giove, lenne, Ninfa, Pofi, Porchiano, Pruni, San Donato, San Felice Circeo, Sermoneta, Sgurgola, Torre, Trevi e Vallepietra.

A Roma si appropriò della Torre delle Milizie e della Torre Caetani all’isola Tiberina, costruendo infine i Castrum Caetani sull’Appia, che Francesco Caetani fece incardinare appunto sul mausoleo di Cecilia Metella, base di un torrione e sostegno per il palazzo baronale a tre pia Sul lato opposto della strada nacque la chiesa di San Nicola a Capo di Bove, mentre nel recinto murario furono costruite una cinquantina di abitazioni e una cappella dedicata a san Biagio. Il cardinale non vi avrebbe mai abitato: titolare di Santa Maria in Cosmedin, con un’abitazione per speciale concessione papale nel fortilizio dei Santi Quattro Coronati, non sentiva proprio il bisogno di trasferirsi in campagna. Ma forse non ne ebbe materialmente il tempo: la morte di Bonifacio VIII, avvenuta l’11 ottobre 1303, un mese dopo lo schiaffo di Anagni, non pregiudicò certamente le fortune della famiglia nel Lazio ma segnò la fine della sua ascesa romana.

Una legge del 1305 contra iniquitate Bonifacianas (“contro le ingiustizie di Bonifacio“), costrinse i suoi risarcire i clan rivali, soprattutto Colonna e Savelli, in contanti o in castra et possessiones sita in districtus Urbis (“castelli e possedimenti nel distretto dell’Urbe”, vale a dire nel raggio di cinque miglia da Roma). Una legge mirata proprio contro il poderoso castello sull’Appia. Così i Caetani si trovarono espropriati del Castrum e sfrattati in favore dei Savelli, che però, commisero l’errore di schiararsi contro l’Imperatore Enrico VII di Lussemburgo: ne fece le spese il Castello, assediato e dato alle fiamme con il piccolo borgo di Capo di Bove (peggio andò ai palazzi dei Savelli sull’Aventino, rasi al suolo). Seguirono, ironia della sorte, il passaggio nelle mani dei Colonna (1312) e infine degli Orsini un secolo dopo (1406) quando però l’Appia Antica aveva ormai perso ogni valore, spodestata dall’Appia Nuova, operazione coronata nel 1574 dall’apertura di Porta San Giovanni.

Del Castrum, oltre ai resti di San Nicola sul lato opposto dell’Appia, rimangono ruderi imponenti accanto al mausoleo di Cecilia Metella. Questa in epoca pre-Caetani era nota anche come monumentum peczutum (“monumento pizzuto“, cioè appuntito), per via della forma: un grande tamburo alto 11 metri e con un diametro di 29,6 (equivalente a 100 piedi romani), eretto su una base quadrata alta 7 metri, terminante con un cono in muratura intorno il quale si avvolgeva un giardino pensile. Qualcosa di molto somigliante, in piccolo, al Mausoleo di Augusto. Date le rispettabili dimensioni e la collocazione in un punto in cui l’Appia corre a una discreta altezza (50 metri s.l.m. circa), costituisce una vista familiare sullo sfondo della campagna romana e così è sempre stato: quando Sisto V nel 1588 diede ordine di demolire tutto, a Roma si scatenò una sommossa popolare e il Papa fu obbligato a fare marcia indietro.

Costruita intorno al 30 a.C., la tomba ospitava le spoglie della figlia del console Quinto Cecilio Metello, soprannominato Cretico per via dei successi a Creta, moglie di Marco Licinio Crasso il Giovane. Lì vicino nel XVI secolo fu ritrovato un sarcofago, oggi nel cortile di Palazzo Farnese, subito attribuito a Cecilia Metella, ma che non ha nulla a che vedere con il monumento. Risale infatti a posteriore, il II secolo, ed è quasi certamente collegato a Erode Attico, il ricchissimo ateniese precettore di Marco Aurelio e proprietario della vasta tenuta del Pago Triopio (l’odierna Caffarella), che riempi di opere in memoria della moglie Annia Regilla. Si disse per allontanare da sé il sospetto di aver ordinato l’uccisione della sposa, accusa per la quale fu anche processato e assolto. Corrompendo i magistrati, sostennero i suoi nemici.

Anche se peczutum, il monumento diede però alla zona un nome diverso: Caput Bovis, cioè Capo di Bove, derivato dal fregio marmoreo con ghirlande e teste di bue (bucrani) che orna il mausoleo. Poi, per assonanza, la tenuta confinante divenne Caput Vacce (Capo di Vacca), mentre più avanti sulla consolare spuntò una tenuta Zampa di Vacca Capo di Bove è anche il nome dato dai vulcanologi alla colata lavica che dal Vulcano Laziale 300.000 anni fa si spinse fino alla zona dove sarebbe sorto il sepolcro di Cecilia Metella, visibile anche all’interno del Castrum Caetani dopo un recente scavo.

La parte oggi pubblica dell’antica tenuta di Capo di Bove risente dei lavori di sistemazione avviati nel 1909 da Antonio Muñoz – il quale intese farne un museo a cielo aperto trasportandovi  i reperti ritrovati nel 1878 durante la costruzione del Forte Appio – e racchiude in circa tre ettari cospicui resti della cinta muraria, il mausoleo, il palazzo punteggiato da bifore ma senza più solai e la chiesa di San Nicola anch’essa senza tetto, uno dei pochi esempi di gotico a Roma. A poco più di 200 metri dal Castrum c’è un altro sito archeologico appartenuto alla famiglia Caetani. Si tratta della Villa di Capo di Bove, punto informativo del parco archeologico e sede dell’Archivio Antonio Cederna. Un antico casale costruito sfruttando i resti di una villa rustica del II secolo, che nel secondo dopoguerra è stato trasformato in lussuosa residenza privata con tanto di piscina. Nel 2002 lo Stato è riuscito ad acquistarlo e dopo restauri e scavi che hanno portato alla luce impianti termali e una scritta con dedica ad Annia Regilla, l’area di quasi novemila metri quadri è finalmente tornata a disposizione di tutti.

Intervento pubblico benemerito, che invece è mancato per la non lontana Torre Zampa di Bove, in fondo a via Muracci dell’Ospedaletto. La torre in questione costituiva con altre quattro (da cui il toponimo Cinque Torri) un avamposto del Castrum Caetani. Nei secoli è passato per le mani dei Farnese, che svilupparono la vasta tenuta Farnesiana, e poi dei Torlonia. La torre ha svettato nella campagnaromana fino al 1985, abbandonata a sé stessa. Poi, certamente per troppa solitudine, ha deciso di crollare durante un fortissimo temporale. Le macerie sono ancora lì.

Mausoleo Cecilia Metella

Indicazioni

Il Castrum e il mausoleo si trovano in via Appia antica Roma. Ci si arriva con la linea 660 dalla fermata Colli Albani della Metro A. In alternativa c’è il bus 118 (linea circolare Villa dei Quintili/Centro Storico). Per gli orari di apertura consultare il sito del parco archeologico dell’Appia antica: www.parcoarcheologicoappiaantica.it.

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