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La prima cosa che si nota giunti a Oliena, è il murale che occupava quasi intera la facciata di una casa. Ciò che era lì rappresentato, si ritrova poi appeso alla parete del ristorante del posto. Si trattava dell’immagine del bandito Giovanni Salis Corbeddu, corredata dalla seguente didascalia: «Ucciso dai carabinieri nel territorio di Orgosolo, nel 1898, dopo diciannove anni di latitanza».

I vecchi della zona raccontano che Corbeddu si era dovuto nascondere per via dell’ingiusta imputazione legata al furto, mai avvenuto, di un bue. Dopodiché, iniziata la latitanza, la gran parte dei crimini che si verificavano in quei luoghi veniva imputata a lui. Nella testimonianza di un anziano del paese, la cui famiglia aveva spesso ospitato il bandito e altri del suo gruppo, Corbeddu «Era un uomo di valore, non mancava mai alla parola data e raccomandava sempre ai suoi compagni di non infierire mai su alcuno prima di averne accertato la colpevolezza».

Il bandito Giovanni Corbeddu Salis

Circolano molte leggende sul personaggio. Si dice che la sera, prima di prendere sonno, leggesse ai suoi uomini passi della Bibbia e che nessuna donna fosse in grado di resistergli. Morì nella primavera del 1898, all’età di cinquantaquattro anni, durante un agguato dei carabinieri. Qualcuno lo aveva tradito per incassare la cospicua taglia che pendeva sulla sua testa.

Ma prima di questa data Salvatore Corbeddu visse lungamente nascosto nel Supramonte e più di preciso in una grotta che oggi porta il suo nome. Situata nel territorio di Oliena, oltre la valle di Lanaittu, e difficile da raggiungere se non si è con qualcuno che conosce bene la zona, la grotta è lunga circa centotrenta metri e articolata in varie sale. La prima di queste, asciutta e vagamente illuminata dall’ingresso, è proprio quella in cui aveva vissuto il bandito e qualsiasi altro essere umano passato lì prima di lui. La seconda sala, collegata alla prima tramite un corridoio, è quella in cui si sono trovati i principali reperti ossei. Da qui, una galleria conduce alla terza sala, abbondante di formazioni calcaree colonnari. La grotta termina poco dopo un forte restringimento che conduce a un angusto vano molto umido.

Su una parete calcarea dell’antro si trova un graffito rappresentante una bilancia stilizzata. Secondo la leggenda, proprio qui Salvatore Corbeddu processava insieme ai suoi seguaci i nemici catturati. La bilancia starebbe inoltre a simboleggiare la volontà di riequilibrio delle risorse che muoveva l’animo del bandito. Detto in altri termini, Corbeddu sarebbe stato un Robin Hood sardo che rubava ai ricchi per donare ai poveri.

Ma la grotta, aldilà di tutto questo, è divenuta celebre per motivi assai meno romantici. Nel 1967 al suo interno sono stati rinvenuti cumuli di ossa di Prolagus sardus, un grosso roditore preistorico simile al coniglio, previsto dal menù della zona in epoca neolitica. Dopo questo ritrovamento, si iniziò ad analizzare l’antro in modo più approfondito e in seguito ai primi scavi, iniziati nel 1982, emersero nella seconda sala resti di paleocervo sardo (megaceros cazioti), altro animale preistorico da lungo tempo estinto. Ma a questa scoperta, in sé già piuttosto rilevante, se ne affiancò un’altra che ne raddoppiò il valore scientifico: su alcune delle ossa rinvenute furono trovate delle incisioni, testimonianza antichissima dell’uomo.

Oliena (NU) Grotta Corbeddu

Da qui in poi le ricerche vennero ampliate e i nuovi scavi, dal 1983 al 1986, si concentrarono proprio su questo punto. Strumentari in ossidiana, resti di prolagus e di animali domestici come il cynotherium sardous, un canide sardo poco più piccolo di una volpe, confermarono la presenza umana in epoca neolitica. A coronamento di tutto ciò, in strati più profondi della stessa sala, gli archeologi trovarono le parti di un teschio proveniente dal Paleolitico superiore: i più antichi resti umani mai ritrovati tra tutte le isole del Mediterraneo. E non parliamo di resti umani qualsiasi, ma di resti non attribuibili né all’Homo sapiens, né all’uomo di Neanderthal. Tracce di una razza endemica, insomma, la cui esistenza si spiega con la trita questione del prolungato isolamento delle genti di Sardegna.

Che dire? Vai alla grotta per cercare il bandito sardo, e trovi l’uomo: il primo uomo sardo.

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