Disabilità e spazio: un giorno sulla Stazione Spaziale Internazionale?

Per decenni, l’immaginario del cosmonauta ha avuto un solo volto: giovane, in perfetta forma fisica, selezionato tra militari d’élite o piloti da caccia. Ma qualcosa sta cambiando. E la domanda non è più se una persona con disabilità possa volare nello spazio, ma quando.

Un passo storico: l’iniziativa dell’ESA

Nel 2021, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha aperto per la prima volta nella storia la selezione di astronauti a persone con disabilità fisiche. Il programma si chiama Parastronaut Feasibility Project, e punta a dimostrare che anche chi ha un’amputazione, una differenza di altezza importante o altre disabilità motorie può partecipare alle missioni spaziali.

Il primo “parastronauta” selezionato è John McFall, ex atleta paralimpico britannico, che partecipa attivamente ai test per comprendere cosa significhi vivere e lavorare nello spazio con una protesi.

Ma la Stazione Spaziale è accessibile?

La ISS (International Space Station) non è stata progettata con criteri di accessibilità. Gli spazi sono ristretti, i movimenti richiedono un’elevata coordinazione motoria, e ogni attività – dai controlli di bordo alla cura del corpo – è pensata per corpi normodotati.

Eppure, il volo spaziale elimina la gravità – e con essa, molte barriere. In assenza di peso, muoversi con una sola gamba, o senza l’uso delle gambe, può diventare persino più semplice. Alcuni studi suggeriscono che il microambiente spaziale potrebbe “livellare” alcune disabilità motorie, aprendo nuove possibilità.

Oltre l’abilità fisica: il valore della neurodiversità

L’idea di accessibilità nello spazio non riguarda solo le disabilità visibili. Cresce anche l’attenzione per la neurodiversità: persone autistiche, con ADHD o altri profili cognitivi possono offrire risorse preziose in situazioni di crisi, in ambienti isolati, o per elaborare soluzioni non convenzionali.

Cosa serve ancora?

Non basta volerlo: servono modifiche tecnologiche, addestramenti inclusivi, e soprattutto un cambio culturale. Le agenzie spaziali, come le società sulla Terra, devono superare l’idea che la disabilità sia una debolezza. È una variabile. E come ogni variabile, se gestita con intelligenza, può diventare una risorsa. Sarà difficile, ma non impossibile. Il sogno di vedere una persona con disabilità sulla ISS – o su una missione lunare – non è più fantascienza. È una frontiera di equità e innovazione. E come ogni vera conquista spaziale, comincia da un passo coraggioso.

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